PROLOGO: Abitazione della
famiglia Doria, Roma
Ettore ed Elena Doria,
entrambi di anni 80, erano stati la guida morale ed educativa del loro giovane
nipote, Romeo, per tutta la sua vita.
Romeo ancora non sapeva
perché, quando era bambino, i suoi genitori si erano separati. Il ricordo più
chiaro che aveva in mente di loro era una sfuriata iniziata durante un
campeggio in Sardegna. C’era stato un incendio, la gente che urlava,
confusione, il fumo e le fiamme… Ma per quanto si sforzasse, Romeo Doria non
ricordava molto di quei momenti concitati, salvo le fiamme, quel terribile muro
di fuoco che si avvicinava sempre più rapido, riempiendo il suo mondo di calore
e legno che scoppiettava…
Poi, niente. Dopo chissà
quanto tempo, si era ritrovato nella camera d’albergo. Le fiamme erano uno
spettacolo lontano, alla finestra, e lui era a letto che tossiva. Anche se gli
avevano fatto il bagno per pulirlo dal fumo, se lo sentiva fin dentro i
capelli. Aveva paura, voleva piangere, voleva i suoi genitori vicino a lui a consolarlo.
E invece, loro litigavano. La
porta non attutiva totalmente le loro parole, ma i pensieri di Romeo erano un
turbinio di emozioni, tutto giungeva a lui in modo discontinuo. I suoi genitori
erano furiosi, ed era colpa sua, ne era sicuro, altrimenti perché continuavano
a fare il suo nome con tanta rabbia..?
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Episodio 5 – Romeo: Non più solitario
Meno di una settimana dopo,
era andato a vivere dai nonni paterni. Giuseppe e Maria Doria scomparvero dalla
sua vita. Ettore ed Elena fecero tutto il possibile ed anche di più per colmare
il vuoto, e ce la fecero. Sopportarono pazientemente il primo Natale carico di
rabbia e risentimento di un bambino ferito. Si adoperarono nel difficile
compito di stargli vicino e guidarlo con disciplina. Lo trattarono in tutto e
per tutto come un figlio, e guarirono le ferite.
Tranne una. Ma non per loro
colpa o mancanza.
Gli adolescenti erano un
universo a parte per chiunque li allevasse. In quella fase di transizione tra
l’età infantile e quella adulta, erano un turbinio di ormoni, voglia
d’indipendenza, confronto con il mondo intero, nuovi desideri…
E poteri.
Se c’era una maledizione aggiuntiva
all’essere un adolescente, era essere un mutante.
Non ci sono segnali premonitori, come brufoli od acne, o quel maledetto cambio
di voce che ti fa desiderare un trapianto di ugola. La mutazione arriva come un
treno, e quando arriva in stazione, lo fa come un disastro. E guai a chi si
trovasse nelle vicinanze di ground zero!
La seconda cosa che Romeo
Doria non avrebbe mai dimenticato era la prima volta in cui manifestò quella
sua peculiare condizione, a quindici anni. Per una volta tanto, sembrava che le
cose dovessero andare bene, aveva rimediato un appuntamento con la compagna di
banco. Lei non era la più carina della classe, non con l’apparecchio che
portava e quella tempesta di lentiggini che dannavano le adolescenti dai
capelli rossi, ma Laura Palma compensava con un carattere gentile e una
propensione ad ascoltare gli improvvisi soliloqui di lui come se stesse
ascoltando uno stimato filosofo e non un liceale del primo anno. Romeo
frequentava già un’altra ragazza, ma ci teneva a fare star bene questa creatura
timida e che spesso veniva presa in giro per il suo aspetto. Non era un atto di
pietà, ma un modo per farle capire che non era sola.
Sì, ‘appuntamento’ era una
parola grossa per una pizza e cinema, ma quelle poche ore insieme dovevano
essere memorabili per lei, nelle sue intenzioni.
Lo divennero per ben altra
ragione, purtroppo. Il cinema Ambasciatori proiettava sempre i migliori film,
ma da un po’ di tempo l’amministrazione comunale aveva lasciato decadere il
quartiere. Si sapeva che circolavano animali su due zampe di quelli cattivi,
nel vicolo vicino, e di solito si evitava di passarci davanti, preferendo
l’altro marciapiede.
Quella particolare sera, Romeo
aveva dimenticato quella regola fondamentale mentre camminava con la ‘sua’
ragazza sottobraccio. Se ne ricordò quando si sentì strattonare con una forza
che lì per lì pensò gli si sarebbe slogata la spalla. Laura cadde a terra, ma
rimase in strada. Per sua fortuna.
Erano semplici rapinatori, due
balordi in caccia di una preda facile cui togliere il portafoglio. Erano
abituati ad agire in fretta, gli puntarono la lama alla gola, mentre lo
tenevano fermo contro il muro. Laura era corsa via, chiamando aiuto a
squarciagola. Smise quando udì le urla. Per un momento, aveva pensato che Romeo
avesse trovato la forza di combattere contro quei farabutti, ma quelle urla –come se i due rapinatori avessero
appena dato una sbirciatina all’inferno. Poi Laura udì il ringhio, il verso quasi soprannaturale, demoniaco, che per un
attimo coprì il terrore dei balordi. E poi Laura udì il suono della carne
lacerata, e poi svenne.
Non si rividero più.
La polizia arrivò in tempo per
trovare una scena surreale: un ragazzo di quindici anni, nudo, rannicchiato
contro il muro, il corpo macchiato di sangue, accanto a quello di due balordi
di poco conto conciati davvero per le feste. Entrambi presentavano fratture e
ferite da morso che quasi avevano staccato loro le braccia. Erano vivi per
miracolo, ma così sotto choc che la loro mente non si riprese mai del tutto.
Passarono il resto dei loro giorni in una specie di stato vegetativo
intermittente, dal quale, quando emergevano, urlavano.
Laura non seppe descrivere
cosa era successo. Dalla sua testimonianza, appariva chiaro che un qualche cane
randagio si era messo di mezzo e che il giovane Doria ne era uscito tutto
intero per puro caso, avendo la bestia preferito altre prede. Nessuno discusse
del fatto che i suoi vestiti fossero stati ridotti a brandelli, la polizia e
Laura un’idea se l’erano fatta e questo aggiunse vergogna alla verità.
Era stata la prima
manifestazione della sua licantropia,
e da quel momento Romeo fece l’impossibile per sopprimere la sua rabbia, il suo
‘lato oscuro’. Laura non era stata coinvolta solo per caso, non avrebbe
rischiato di coinvolgere i nonni, mai!
Ettore ed Elena Doria
lavorarono duramente per spingere il loro figlio, perché ormai tale era
l’affetto che per lui provavano, ad uscire dal guscio. Lui non aveva smesso gli
studi, anzi vi si era gettato con più fervore di prima, ma a parte Gabriele De
Santis, il suo amico d’infanzia, nessuno riusciva ad avvicinarglisi.
In quel periodo, fu proprio la
bella Patrizia Montechiari ad essere determinante nel tirarlo fuori dal guscio.
Tutto l’opposto di Romeo, lei era la vivacità personificata, trasteverina DOC,
caparbia. Dopo sei mesi, quella testardaggine diede i suoi frutti. Romeo scoprì
di potere parlare di sé, dei suoi interessi, dei suoi sogni per il futuro di
ingegnere informatico... Ritrovò la sua loquacità e la voglia di vivere, per la
gioia di Gabriele, dei nonni, ma soprattutto di se stesso.
Gli bastava evitare di parlare
del suo segreto, e di perdere il controllo. Mai cercare di litigare, evitare le
situazioni che avrebbero potuto degenerare nella violenza. Per un ragazzo della
sua età era quasi impossibile, ma lui ci riuscì. Il gentile Romeo era una
maschera, ma era una maschera che gli piaceva.
La tenne anche dopo il suo
tradimento. La cosa buffa? Non ricordava neppure il nome della ragazza che
aveva ‘agganciato’ durante l’estate scorsa, a Cerenova. Forse non glielo aveva
neppure chiesto, il nome. Ma era stata una settimana di passione pura, seguita
da mesi di pentimento. Cerenova non era
Patrizia non era una dal
perdono facile, come Romeo avrebbe scoperto appena tornato a scuola. Il secondo
anno di liceo fu un incubo, e lui non osava perdere la calma anche se certe
volte lei gli rinfacciava delle cose che non avrebbe mai e poi mai fatto. Alla
fine, lei un mezzo perdono glielo concesse. Tornarono amici, e lui pensò che le
cose si sarebbero rimesse a posto.
Ma il mondo non finiva certo
con lui ed i suoi problemi. In Italia, il clima antimutante guadagnava terreno.
Una formazione di estrema destra, Fazione
Umanità, aveva ufficialmente aperto la caccia ai mutanti. Erano cominciati
gli attacchi con delle macchine gigantesche, una derivazione delle sinistre
Sentinelle americane, i Guardiani. I
mutanti dello Stivale si erano organizzati a loro volta sotto la bandiera di Nazion Mutante, ma se la loro
intenzione, inizialmente, era quella di difendersi dagli attacchi di FU,
finirono con lo scendere al loro livello quando alla loro guida si pose il
mutante DuX con le sue idee militariste.
Romeo fu tentato di associarsi
a Nazion Mutante, ma temeva di più che a quel punto le persone a lui care
avrebbero sofferto le conseguenze di tale decisione. E così, come si dice, era
rimasto alla finestra, pieno di rancore per Fazione Umanità, pieno di
frustrazione per gli sbagli della cosiddetta Legione del Popolo Mutante.
La sua neutralità terminò quando si ritrovò a testimoniare
una strage di mutanti. La rabbia così ben controllata esplose insieme alla sua
forma ferina. Fu la sua prima battaglia in cui usò con piena cognizione il
proprio potere, e come avrebbe avuto modo di riflettere in seguito, la prima
volta in cui capì che essere un lupo mannaro non implicava diventare una bestia
decerebrata. In tal senso, non poco aiuto glielo diede l’Uomo Ragno, che si trovava in Italia per una propria missione[i].
Le circostanze li misero insieme, l’eroe americano lo aiutò nei primi passi da
supereroe –e proprio lui, il suo idolo, il migliore!
Quei giorni erano stati
fantastici, anche nonostante le difficoltà e il dolore. Romeo aveva sicuramente
imparato una cosa, che fare il supereroe richiede un armadietto del pronto
soccorso ben fornito.
Ma quella ferita era rimasta
aperta.
L’unica ferita che nessun atto
eroico avrebbe guarito.
La solitudine.
Romeo non voleva essere
inquadrato in Nazion Mutante. Amava il suo paese e non intendeva sovvertirlo.
Non voleva isolarsi in un circolo di mutanti con la puzza al naso, voleva
essere…se stesso. Voleva aprirsi con i nonni, voleva aprirsi con Patrizia, dire
loro tutto, crearsi un futuro in cui non avrebbe dovuto tenere segreti con chi
amava.
Romeo era solo in una folla,
ed era una sensazione lacerante per il suo buon cuore.
Ma pochi mesi dopo, il destino
gli servì un’altra possibilità, una come il giovane licantropo non aveva
neppure immaginato.
Si trovava al Caffè Tiburtina,
ritrovo d’obbligo per seguire le partite della Roma e farsi un buon pranzo in
mezzo ad una tifoseria rumorosa. Quel giorno c’era il derby con
E lui? Lui pianse. Per la
prima volta nella sua vita, Romeo Doria-Pamphili pianse di una gioia
irrefrenabile, e invocò Dio a fior di labbra per ringraziarlo come mai aveva
ringraziato qualcuno.
Il servizio dell’americana
Tanya Veil per WNN veniva dall’Egitto, per la precisione dal Distretto
Extraterritoriale dello Zilnawa.
Da Lykopolis. La
città dei lupi[ii].
Nel senso più letterale del termine, un’oasi nel deserto
popolata da licantropi. Ed erano…tanti. Si vedeva che il cameraman faticava a
stare dietro a quelle creature fantastiche, di ogni razza e colore di pelo, da
sole, in branchi, persino insieme a delle persone. E c’era un maschio in un bar
accompagnato dalla sua compagna, una donna…incinta.
Era bellissimo.
Era casa sua. E quando una
delle creature intervistate, un imponente maschio rossiccio in armatura, invitò
apertamente i suoi simili a farsi avanti e ad emigrare in quella città, Romeo
seppe cosa fare.
Senza
il minimo dubbio.
Tornò a casa di corsa, senza
neppure prendere l’autobus come suo solito. Fosse dipeso da lui, si sarebbe
trasformato e sarebbe saltato direttamente dalla strada alla finestra, ma ora
non era il momento di perdere la testa.
Una volta entrato, salutò i
nonni al volo e si diresse in camera saltando tre gradini per volta.
“Credo che il ragazzo si sia
innamorato. Di nuovo.” Commentò Ettore, scuotendo mestamente la testa. Elena
sospirò e coprì con un piatto la minestra. Non si buttava mai niente in casa
Doria. “Spero che sia Patrizia, quei due ragazzi dovrebbero davvero
riconciliarsi una buona volta.”
L’uomo ridacchiò, prima di
bersi l’ultimo sorso del suo caffè. “Tu
mi hai tenuto il broncio per tre anni, signora Doria. E per molto meno di
un’avventura.”
“Altri tempi, Ettore. E poi
volevo vedere se davvero ci tenevi al nostro rapporto. I giovani d’oggi fanno
tutto così in fretta, si sposano e divorziano come se cambiassero d’abito.”
“Non il nostro Romeo, cara. Sa
quello che fa e quello che vuole. Vedrai che ci sorprenderà.”
Niente di più vero, nonno,
pensò Romeo nell’aprire la connessione internet. Digitò rapidamente sulla
tastiera
“Signore Iddio, grazie e
grazie ancora,” mormorò alla vista dell’homepage del paradiso. Romeo passò il
pomeriggio e buona parte della notte ad esplorare ogni singolo dettaglio su
Lykopolis. Certo, all’inizio aveva pensato a gente dallo stile di vita
semplice, nonostante quella fosse una città in piena regola. Ma la scelta delle
attività e degli stili di vita era…be’, impressionante. La città aveva fame di
membri produttivi, non solo di rifugiati. C’erano posti aperti per ogni
possibile disciplina di studio, possibilità di risiedere anche come soli
studenti, e soprattutto doppia cittadinanza!
C’era una finestra, nella
pagina Pratiche
Aperture Cittadinanza, dove si poteva
richiedere un colloquio con l’Ambasciatore dello Zilnawa e un Delegato di Lykopolis.
Romeo inserì i propri dati e cliccò senza esitare.
Un’icona di lupo stilizzata
proruppe in un ululato. Una voce profonda, così simile a quella che aveva lui
quando era trasformato, disse, “I nostri complimenti per la tua scelta, figlio
di Gaia. Un nostro messo verrà a prenderti presso il tuo indirizzo domani alle
ore 10:00. Se nel frattempo avrai desiderato cambiare idea, dovrai solo
comunicarlo cliccando sull’icona in basso.” L’icona in questione era un lupo
quadrupede in posa di fuga con la coda fra le gambe. Un’inutile provocazione,
Romeo era più che mai deciso.
Quando spense il computer,
erano le tre e soprattutto si sentiva sveglissimo. Si gettò sul letto e lì
rimase con le mani incrociate dietro la testa, a fissare il soffitto.
Aveva appena chiesto un
colloquio per diventare cittadino di un altro paese. Sarebbe andato a vivere in mezzo al Sahara.
In mezzo alla sua gente.
Romeo tendeva a cedere ai suoi
impulsi, era il suo punto debole. Ma questa volta era diverso.
Poteva essere se stesso.
Poteva essere se stesso –la frase echeggiò come un mistico mantra nei suoi
pensieri. Aveva fatto molto di più, questa notte.
Aveva preso scientemente in
mano le redini della sua vita. Questo non era un capriccio, era il suo destino, il suo futuro.
Per questo, era anche così
doloroso. Stava per lasciare le persone che più amava. Conosceva i nonni, non
avrebbero speso chissà quanti anni in terra straniera, in un mondo che non era
letteralmente il loro.
Lo avrebbero biasimato, per
questo, per una decisione così importante e così improvvisa?
Romeo era sicuro di no. Loro
si erano prodigati per spingerlo ad essere autonomo, responsabile. Erano stati
buoni e severi, mai condiscendenti. Se gli lasciavano un ampio spazio, non era
per viziarlo, ma per aiutarlo ad imparare come gestirlo. La libertà era un bene
che ognuno deve conquistarsi anche nelle piccole cose, gli dicevano. Avevano
dovuto sopportare la piaga del nazifascismo, erano stati nei campi di lavoro
della RSI. Sapevano di cosa parlavano, quando si trattava di responsabilità.
Per questo, Romeo decise che
prima di andare a quel colloquio, avrebbe fatto un passo non meno importante.
E ringraziò nuovamente il
Cielo per avergli dato dei parenti dal cuore forte. Ne avrebbero avuto bisogno…
“Romeo?”
Lui saltò a sedere velocissimo,
come se lo avessero colto in un momento assai imbarazzante. “Eh…io…voi…”
Ettore entrò nella stanza.
Prese la sedia e vi si sedette
appoggiandosi allo schienale. “Ho passato tanti anni a stare ben sveglio
e con le orecchie tese, la notte, in guerra. Mi è tornato utile per impedire
che ti facessi male durante le tue crisi di sonnambulismo.”
“Uh..?” Il ragazzo si grattò
la testa.
“Sei un abitudinario,
figliolo. Con te ci regoliamo l’orologio. Perciò, quando qualcosa cambia i tuoi
schemi, ci sentiamo in dovere di capire se va tutto bene. E penso che sia così,
vero?”
“Ah…sì. Immagino.”
Ettore ridacchiò. “Hai quello
sguardo delle grandi occasioni. Ti va di confidarti col tuo vecchio?”
Romeo deglutì. Era una conversazione
di quelle serie, e se anche una parte di lui urlava di dire al nonno di tornare
a letto, che ne avrebbero discusso domani, un’altra parte sapeva che se lo avrebbe
fatto avrebbe finito col rimandare tutto. Forse, a rinunciare all’incontro per non
spaventarli, e se poi avesse perso quell’unica occasione
mannaggiaperchéimprovvisamentenonriuscivaaconcentrarsi—
“Figliolo.”
Lui sobbalzò. Stava ansimando
e neanche se ne era accorto. “Scusami, io. E’ che…”
Ettore fece per alzarsi. “Se
non te la senti di confidarti, lo capisco—“
“No!” gli uscì quasi come un
rantolo. “Non andare. Io… E’ successa una cosa, vedi. Ah, sai cosa è un
mutante?”
Ettore si rimise a sedere. Con
la massima serietà, disse, “E’ un tizio con dei superpoteri, come ce ne sono
tanti al mondo. Sei un mutante, figliolo?”
Romeo annuì. Era sicuro di
essere pallidissimo, ora…
“Tutto qui?”
…??...
Ettore sfoggiò quel mezzo
sorriso che a suo tempo mostrava ai nazi quando lo interrogavano sui suoi amici
partigiani. “Io so solo che un sacco di bravi ragazzi al fronte si sono salvati
grazie ad altri bravi ragazzi con i superpoteri. Se mi facessero schifo i
super, mutanti o no, dovrei rinnegare Capitan
America in persona, il migliore di tutti loro. E forse sarei diventato un
prigioniero dei marziani se non fosse
stato per la gente in costume. La gente tende a dimenticarlo, ma un’invasione
planetaria non capita tutti i giorni.” Si diede una pacca sulle cosce. “Be’,
scusami per averti costretto a tirarlo fuori in questo modo, anch’io odio gli
interrogatori. Però, figliolo, un’altra volta non credere che siamo una coppia
di babbei fifoni.”
“Ma…”
“Leggi troppi giornali,
ragazzo. A furia di sentire parlare di ‘minaccia mutante’ finisci col metterti
in testa delle strane idee sugli altri. Concedere il beneficio del dubbio non
ti ucciderà. Allora, che poteri hai? Spero non quelli di distruggere una casa,
non mi va di fare un altro mutuo.”
Romeo si sentì così libero che
la trasformazione giunse spontanea come una risata… In compenso, furono i
vestiti a soffrire di quell’effetto.
“Capperi,” disse Ettore, gli
occhi spalancati come piattini.
“Sono così…spaventoso?”
Lui scosse la testa.
“Figliolo, ho visto da vicino Blazing
Skull, non so se mi spiego. Quello
faceva paura. Tu sei…impressionante. Fiero, molto bello.”
“Uh?”
Ettore si alzò in piedi. Andò
a sedersi accanto al nipote. “Ti sentiresti meglio se ti dicessi che sei
orribile? Non lo sei. Sei indubbiamente impressionante, lo ripeto, ma so chi
abita sotto quella pelliccia. E so che sei sempre il mio figliolo, qualunque
cosa succeda.” Poi sorprese nuovamente il nipote…abbracciandolo. Era una scena
curiosa, un anziano signore che era sì e no la metà di un lupo mannaro
consolarlo come fosse stato un cucciolo. Dopo un attimo di esitazione, Romeo
ricambiò l’abbraccio.
“C’è un’altra cosa di cui
dovevo parlarvi, ma vorrei che ci fosse anche—“
“Allora puoi parlarne anche
subito, se vuoi,” intervenne Elena. Indossava la sua vestaglia preferita,
bigodini sulla testa e tutto sembrava meno che adirata o spaventata.
“Nonna! Stavi ascoltando
tutto?”
Lei andò a sedersi all’altro
fianco dell’irsuto nipote. “Ho pensato che i maschietti devono discutere delle
loro cose fra loro. Che ci vuoi fare, sono educata così. Però, visto che vuoi
tirarmi in mezzo, non sarò certo io a farmi da parte. Allora? Fra poco è
giorno, e ci vorrà una robusta colazione per tutti.”
Romeo tirò un profondo
respiro. Disse loro del servizio televisivo, della sua intenzione di
trasferirsi a studiare e vivere a Lykopolis…tutto, insomma. Alla fine, Elena
Doria sospirò. “Immaginavamo che questo giorno sarebbe arrivato, in fondo ti
stai facendo uomo. E’ giunto il tempo che tu ti assuma delle responsabilità…
Certo che sapere tutte queste cose in una volta sola, be’, fa un certo
effetto.”
“Mi dispiace. Sta succedendo tutto
così in fretta anche per me, ma per la prima volta so cosa voglio davvero. Ho la sensazione che se perdo
questo treno adesso, me ne pentirò per sempre.”
“E noi non ti costringeremo a
perderlo,” disse Ettore accarezzandogli la spalla. “A noi importa di più che tu
sappia quello che fai, e se devo essere onesto, è la prima volta che ti vedo
così determinato. Possiamo fare qualcosa per aiutarti? E non fare quella
faccia: l’hai detto anche tu che verrai a trovarci, no?”
“Potete augurarmi buona
fortuna?”
Elena si alzò per prima. “Hai
la nostra benedizione, figliolo. Ora pensa a farti un paio d’ore di riposo, ti
faranno solo bene. Oh, e puoi fare un paio di favori alla tua vecchia nonna?
Però devi prometterlo.”
“Tutto quello che vuoi.”
“Non trasformati con i vestiti
addosso. Non crescono sugli alberi, lo sai. E poi devi almeno farti un bagno,
puzzi come un cane randagio se non te ne fossi accorto. Al colloquio non ci vai in quel modo. Buon riposo.”
Ed uscì dalla porta. Ettore la seguì, non senza avere lanciato uno sguardo
ammonitore al nipote.
Appena la porta si fu chiusa,
Romeo ricadde sul letto, ridendo e tenendosi la pancia.
Alle ore 10 esatte, una
berlina nera con la bandiera e lo stemma dello Zilnawa si fermò a casa dei
Doria. Un paio di vicini curiosi si sporsero dalle finestre per osservare
l’autista in livrea nera scendere ed aprire lo sportello del passeggero, il
berretto saldo sotto il braccio libero. Un attimo dopo, un trafelato Romeo,
vestito neanche dovesse andare a messa, uscì dall’edificio e salì a bordo.
L’autista chiuse lo sportello
e tornò al posto di guida. L’auto partì, lasciandosi dietro un sacco di domande
e materiale da pettegolezzi.
“Spero che si senta pronto per
il colloquio, Sig. Doria,” disse una donna in tailleur grigio. Se si fosse
alzata in piedi, avrebbe potuto prenderlo facilmente per la collottola anche in
forma lupina. I suoi occhi erano due monete d’oro. Romeo si sentì il cuore
balzargli in gola. Era una di loro.
“Riconosci la tua gente,
cucciolo,” disse lei con un sorriso da sfinge. “Molto bene.”
Lui si sarebbe trasformato
solo per potere scodinzolare. Era così bella..! “Parlerò con…lei? Sa, per…”
“Sì. Mi chiamo Avantasia. Seguo le attività dei
licantropi italiani e sono l’intermediaria per conto dell’ambasciata.
Naturalmente, sarà l’Ambasciatore Minardi a dare il nulla osta, ma la raccomandazione
che conta è la mia. Non dovresti avere dei problemi.”
“Uh…quali problemi potrei
avere?”
La ‘donna’ consultò lo slate
che portava in grembo picchiettandone con le unghie lo schermo. “Problemi
mentali, come la sindrome ferale.”
“La che?”
“Diversi lupi mannari soffrono
di scompensi, se così li vuoi chiamare, che li spingono ad aggredire
indiscriminatamente gli umani e i loro stessi simili. Sono soggetti socialmente
instabili, inadatti alla nostra comunità.”
“Be’, non la soffro di sicuro,
io, lo giuro!”
“Lo sappiamo. Ma parleremo con
più calma in ufficio. Gradisci qualcosa da bere?” Ad un tocco di pulsante, il
minibar si aprì rivelando svariate delizie da bere e da mangiare. Romeo
deglutì. “Ah, no, poi mi viene il mal d’auto. E…come mai questo servizio di
lusso?” chiese appena il bar fu chiuso. “Insomma, non sarò l’unico lupetto
italiano a presentarmi, spero.”
“Ne devo visitare venti,
questa settimana. Ma qui a Roma sei il primo, e sei anche un buon combattente.
Mi sento onorata a scortarti personalmente. Nel mio fascicolo ci sono le tue
recenti imprese accanto ad un buon alleato del Popolo come l’Uomo Ragno e ti
sei battuto contro nemici di forza ben superiore alla tua. Sei giovane, ma il
coraggio non ti manca.”
Stavolta lui arrossì
pesantemente. “Grazie, io…”
“Non ringraziare altri che te
stesso e Gaia per averti dato questo dono.”
L’auto arrivò all’edificio
posto in Via dei Fori Imperiali. Si trattava di un palazzo su due piani, tutto
bianco con fregi verdi che correvano fra i due piani come se l’artista avesse
voluto riprodurre una corrente d’aria. Sul cancello del viale interno spiccava
una elegante testa di lupo fatta d’oro. Il tutto sorgeva in una piccola foresta
rigogliosa piantata per fare sembrare l’edificio parte integrante
dell’ambiente.
La berlina si fermò davanti ad
un ingresso laterale. Le due sentinelle in divisa bianca e oro scattarono
sull’attenti. Romeo riconobbe licantropi anche in loro. “Vedo che l’Ambasciatore
non ha problemi col personale…misto.”
“Il Popolo ha un debito di
gratitudine senza pari verso il Presidente Thran. Difendere i suoi interessi è
una priorità come difendere i nostri stessi interessi. E’ stato lui a
realizzare la casa in cui radunare le nostre genti sparse per il mondo.”
Arrivati in fondo al corridoio, entrarono nell’ufficio di lei.
La stanza era un unico, ampio
locale di
Appena Romeo ebbe chiuso la
porta, Avantasia si trasformò. In un istante in cui la carne sembrò diventare
liquido, la donna cedette il posto ad una licantropa bianca come la neve e la
coda folta. I suoi occhi d’oro scrutarono Romeo da capo a piedi. Lui era in
modalità bambolato di brutto, e quando lei gli parlò, lui emise dei curiosi
versi balbuzienti.
“Ho detto, spogliati.”
“Eh? Oh, sì…” lui fece già per
togliersi la maglietta della domenica, quando realizzò. “Cosa?!”
“Non possiedi abiti di molecole instabili, e non credo tu
voglia rientrare a casa conciato come un pezzente. Spogliati.”
“E’…necessario? Insomma, non
ho un costume o roba del genere e…” Si sentiva ridicolo solo per averlo detto,
ma era anche la prima volta che si trovava di fronte ad una femmina –e che esemplare! Improvvisamente, l’idea
di trovarsi nudo davanti a lei lo imbarazzava come uno scolaretto.
Avantasia prese posto fra i
cuscini. Anche se niente nei suoi movimenti tradiva desideri ambigui, era così
sensuale solo a vedersi… “Hai forse timore del tuo più nobile aspetto?”
Romeo ebbe un flash dell’icona
con il lupo tutto spaventato. Clicca qui per fare la figura del codardo.
“Cavolo, no!” E con uno sforzo supremo, si tolse gli abiti per poi trasformarsi.
Si sdraiò di fronte alla sua interlocutrice. Profumava di una qualche spezia
delicata… No, non solo lei, ma tutta la stanza all’improvviso odorava…di buono.
Romeo si scoprì ad annusare l’aria con crescente delizia. “Fico.”
“Non è un ambiente naturale,
ma la cosa che più ci si avvicina. Mette i candidati a proprio agio. Ora, sei
pronto a rispondere a qualche domanda?”
“Uh-uh.”
“Devo premettere che abbiamo
studiato quanto più possibile di te dal momento in cui ci hai inviato i tuoi
dati. So che per molti la violazione di privacy è irritante, ma dovevamo essere
sicuri sul tuo conto quanto più possibile.”
“Non c’è problema. Non voglio
comunque avere segreti…con voi.”
“Bene. Ora, dimmi: in cuor tuo
tu detesti la tua condizione?”
“Ah.” Certo che questa tipa
sapeva essere diretta. “Non lo so.”
“Spiegami.”
“Se me lo aveste chiesto dopo
la mia prima trasformazione, avrei invocato un esorcista per tornare ad essere
un ragazzo qualunque. Sì, ho francamente odiato
la mia ‘condizione’… Poi le cose sono cambiate, ma lo sapete se avete fatto le
vostre indagini.”
“Non abbiamo indagato nel tuo
spirito, cucciolo. Sei davvero felice all’idea di vivere con i tuoi simili, o è
solo un modo per socializzare, una scusa per evitare il confronto con gli
esseri umani?”
“No! Voglio dire, non è la
seconda che hai detto!” e le descrisse minuziosamente quanto aveva provato nel
momento in cui aveva visto quel servizio. Si aprì con lei come avrebbe fatto
solo con i suoi nonni. Dio, avrebbe voluto abbracciarla, mordicchiarla e rotolarsi
con lei nell’erba! Era come trovarsi di fronte alla sorella perduta. Come si
sarebbe sentito in mezzo ad un’intera città di suoi simili?
Avantasia sorrise, vedendolo
scodinzolare. “Ti credo. Immagino ti sia informato sul nostro piano di studi.”
Lui annuì. “Posso, ah, sapere
che succede se vengo bocciato?”
“Riproverai, magari con
un’altra specializzazione. Anche se volessi abbandonare gli studi, resteresti
comunque un cittadino.”
“Davvero?” Non ricordava di
averlo letto, sul sito.
Avantasia fece con orecchie e
coda l’equivalente di un assenso. “Tuttavia, il tuo rango sociale a Lykopolis è
determinato dalle tue capacità. Anche se non abbiamo i vagabondi o senzatetto,
può essere…frustrante trovarsi in basso alla piramide.”
“Allora non dovete
preoccuparvi. Darò solo il meglio!”
“Buon per te. Naturalmente, al
completamento degli studi, in base alla disciplina scelta ed alla valutazione
conseguita, ti sarà offerta una possibilità di lavorare nella divisione
italiana della Talon Corporation. Manterrai comunque la doppia cittadinanza.
Ora devo farti una domanda molto personale, e desidero una risposta onesta.”
“Come sempre.”
“Hai una compagna, o un
compagno?”
“Intendi..?”
“Un amante?”
Romeo si sentì le orecchie
diventare due torce. “Ah. Sì. No. Sì. Cioè, non ho una fidanzata, ma ho fatto…”
“Non hai una compagna fissa.”
Lui scosse vigorosamente la
testa.
“Il vincolo di coppia è molto
importante per noi, e ancora di più lo è una coppia capace di figliare o di
adottare dei cuccioli. So che sei imbarazzato, ma per noi il capitolo
riproduzione è, in questa fase storica, una parte fondamentale della nostra
esistenza come comunità. Se non fosse stato per Thran e il Power Pack, non ci saremmo mai riuniti, ma siamo ancora troppo pochi.
Anche se per te dobbiamo sembrare un numero vasto. Per questo incoraggiamo un
rapporto fertile, pur non negando il diritto all’omosessualità.”
“Non lo sono!” gli uscì come
uno squittio. “Sono sano, cioè…”
“Questo l’ho capito.”
Avantasia si picchiettò il naso. Non
lo fece sentire più a suo agio, mentre nascondeva la coda fra le gambe. La lupa
bianca disse, “Ti dico solo che non dovrai sentirti così imbarazzato quando le
nostre femmine ti faranno le loro avances. Né dovrai sentirti spaventato se
desidererai competere per una di loro. Asseconda i tuoi desideri, niente di
più. Una sana cucciolata viene premiata, socialmente parlando. Mi dispiace
essere così franca su questa materia, ma ti ritroverai coinvolto che ti piaccia
o no.”
Lui quasi si seppellì sotto i
cuscini. “Potremmocambiareargomento?”
Passarono altre due ore di
vivisezione, prima di passarne altre due a riempire scartoffie, o almeno il
loro equivalente digitale. Si era consumato i polpastrelli sulla tastiera, ma
non aveva toccato una sola penna. Per fortuna che almeno sugli studi aveva le
idee chiare, c’era un catalogo grosso come la bibbia da consultare!
Quando ebbe finito, erano
quasi le quattro, e aveva una fame assassina. L’Ambasciata gli mise a
disposizione il loro ristorante. Non era la cucina della nonna, ma le cinque
stelle non gliele toglieva nessuno! Durante il pranzo, consumato in forma umana
(cameriere, c’è un ciuffo di pelo nella minestra!) aveva conversato con il
cameriere messo a sua disposizione, un tipo irrigidito come un soldato, ma
simpatico e non certo parco di risposte. Merryl, così si chiamava, gli aveva
parlato della sua vita prima di scoprire della sua gente, di come gli si
prospettava un futuro senza speranza prima di Lykopolis. Aveva accettato di
lavorare all’Ambasciata per gratitudine, ma appena fosse finito il suo periodo
di servizio, sarebbe tornato a fare il contadino in quella città. Tanto, in
Scozia non aveva più una terra da quando gliel’avevano sequestrata adducendo la
sua natura come scusa per perseguitarlo…
“Chiedo scusa,” disse un
impiegato, un umano, avvicinandosi al tavolo. “Signor Doria, è arrivata una
visita per lei.”
“Una..?” i soli a sapere della
sua presenza lì erano i nonni. Perché mai erano venuti? Romeo si alzò. “Pranzo
ottimo. Il caffè lo prendo a casa, grazie.”
Ma, alla reception, non c’era
ad attenderlo Ettore od Elena. C’era, piuttosto, una ragazza magra, dai capelli
neri, il volto affilato, con indosso un impermeabile chiaro leggero. E non
sembrava affatto contenta.
“Patrizia? Chi ci fai qui?”
“Che ci fai tu, qui?” fece lei di rimando. “I tuoi
nonni mi hanno detto che vuoi emigrare
per continuare gli studi nello Zilnawa?! Tu non sei mai uscito di cento metri
oltre i confini di Roma e tutto ad un tratto, senza dire niente neppure a
Gabriele, scopro che vuoi andartene in Africa?!”
Lui la prese per le spalle e
la guidò verso l’ingresso. “Vogliamo per favore parlarne un po’ più in
privato?”
“Senti, lo so che anch’io non
mi sono comportata al meglio.” Patrizia ridacchiò. “Insomma, non credo che non
esista al mondo un solo ragazzo che non abbia avuto la sua brava avventura
almeno una volta nella vita… Ma non credi che tutto questo sia a dir poco
esagerato? Va bene che in Italia non si valuta molto il talento, ma lo
Zilnawa–“
“Lykopolis,” la interruppe
lui.
“Scusa?”
“Vado a Lykopolis. A studiare
lì, anche se tecnicamente è parte dello Zilnawa…” Stava di nuovo ricominciando
a balbettare. Quella ragazza aveva un caratterino che avrebbe potuto piegare il
ferro, un po’ lo intimidiva, ecco perché non gli era proprio facile
relazionarsi con lei, certe volte. E dallo sguardo che fece, capì che lei
sapeva di cosa stava parlando.
“I lupi? Vai in mezzo a
quelle…cose?” Lo disse con una smorfia del labbro superiore, ma tutto, dalla
voce agli occhi, parlava di disprezzo. Una reazione immediata, spontanea. E
Romeo seppe in quel preciso istante che il suo futuro con Patrizia, per ora,
era stato cancellato. Il ragazzo sentì qualcosa spezzarsi dentro di lui. Si
chiese se anche Gabriele avrebbe reagito così…
Romeo si voltò e fece per
tornare nell’edificio. “Non abbiamo altro di cui parlare, allora. Non posso
costringerti ad approvare la mia scelta, ed io non intendo cambiare idea.”
Patrizia gli si parò davanti.
“Ma perché? Cosa può esserci laggiù
per te?”
In risposta, lui si trasformò
–e addio abito della domenica, la nonna non l’avrebbe più smessa di
rinfacciarglielo.
Se la ragazza avesse potuto
fare un salto come nei cartoni animati, sarebbe finita sulla Luna. Invece, si
limitò ad impallidire e ad emettere uno strano squittio strozzato. Per un
momento, sembrava prossima ad un colpo apoplettico. Si appoggiò all’albero più
vicino.
“Ecco,” fece lui, allargando
le braccia. “Sono un mutante. Un lupo mannaro. E voglio stare fra persone che
non mi tratteranno come un fenomeno da baraccone. Cos’hai intenzione di fare?
Chiamare l’accalappiacani?” E doveva ammettere una cosa di cui un giorno si
sarebbe vergognato: stava provando un certo piacere nel fare valere le sue
ragioni. Era un po’ stanco di dovere assecondare gli altri, era ora che gli
altri capissero! “Patty, io ti voglio ancora molto bene, e capisco se sei
scossa. Ma lo sai che non ti farei mai del male…”
“Tu sei malato.”
Fu la seconda e più perfida
stilettata che lei potesse infliggergli. “Ah…”
Patrizia sembrò riprendersi,
ma si tenne ad almeno sei passi di distanza dal mostro. “Tu sei malato, Romeo.
La mutazione è una malattia… Ma puoi curarla, lo sai? Non hai bisogno di
chiuderti in una specie di zoo nel cuore del deserto. Devi farti aiutare!”
l’ultima frase quasi la strillò.
Romeo non credeva alle sue
orecchie. “Patty..? Che dici? Ti rendi conto di come stai parlando?” Un brivido
gli corse lungo la schiena. Quelle parole avevano lo stesso tono di quelle di…
“Sei una sostenitrice di Fazione Umanità?”
“Sono iscritta al movimento da
prima di conoscerti… Non ti avvicinare!!”
Invece lui le fu addosso come un lampo, tenendola saldamente per le spalle.
“Patty! Quelli sono assassini! Non ti ricordi di quello che
hanno fatto in Toscana e proprio a Roma?!”
“Quelli erano degli
estremisti,” rispose lei fissandolo negli occhi, sicura di ogni virgola che le
usciva dalle labbra. “Il movimento vuole curarli, i mutanti, non ucciderli. Voi siete gli assassini. Vi basta
perdere la testa un solo momento, e radete al suolo intere città. Come quel
pazzo di Magneto!”
Le mani artigliate lasciarono
la ragazza. Romeo tornò in forma umana, coperto da pochi brandelli di abiti.
“Partirò al più presto per Lykopolis. Salutami Gabriele. Sempre che tu non tema
che sia rimasto contagiato dalla mia ‘malattia’.”
Avantasia lo andò a prendere
dal bagno una decina di minuti dopo. Il completo che gli aveva dato per
cambiarsi era ancora appeso al muro. Romeo stava seduto sul pavimento,
singhiozzava con la faccia nascosta fra le ginocchia.
“Mi dispiace per la tua
amica,” disse la mannara. “Posso aiutarti?”
Lui sollevò la testa. Sembrava
più vecchio di dieci anni. “Volevo aprirmi anche con Gabriele, ma non lo
sopporterei se scoprissi che anche lui mi odiasse.”
Lei gli si sedette accanto.
“Cosa ti farebbe più male? Andartene senza saperlo, o soffrire adesso, ma
sapere cosa ti lasci dietro?”
Lui ridacchiò. “La fai
facile.”
“Dopo trecento anni, alcune
cose si imparano a gestirle, cucciolo.”
“Tre—“ improvvisamente ebbe
una visione di quella splendida creatura come di una vecchia rugosa e oscena.
Avvertì come un senso di nausea.
Lei si alzò, poi lo aiutò a
mettersi in piedi. “Solo alcuni di noi vivono molto a lungo, sono i cosiddetti katharóaimos, o purosangue, coloro che
hanno mantenuto una discendenza diretta con i primi rappresentanti della nostra
stirpe. Quelli che chiameresti ‘licantropi moderni’, invece, non vivono più di
centoventi anni. Coraggio, ora vestiti. Dovresti essere a casa a celebrare, lo
sai?”
Romeo, che stava per prendere
i vestiti, aggrottò la fronte. “Vuol dire..?”
“Vuol
dire che la tua richiesta è stata approvata. Complimenti, figlio di Gaia.”
Rientrò a casa con una scatola
piena di memorie flash. In effetti, avrebbe dovuto ripassarsi storia della
specie, usi e costumi, biologia 101, folklore… Un po’ era anche colpa sua, per
avere pensato che sarebbe bastato presentarsi e stringere qualche zampa qui e
là. Almeno l’annusata di sedere non sembrava di prammatica. “Ciao a tutti.
Dov’è il nonno?”
“Lo sai che a quest’ora è giù
al bar a litigare con i sostenitori del governo. Tornerà fra un’ora almeno. E’
andato tutto bene?” chiese Elena quando si fu chiuso la porta alle spalle.
“Mi hanno preso. Sono
ufficialmente cittadino di Lykopolis ED. Ho rotto il vestito buono e ho
litigato a morte con Patrizia. Non posso lamentarmi. Troppo.”
“Ah, mi dispiace tanto.” La
nonna lo abbracciò. Poteva avere i suoi anni, ma aveva ancora delle braccia
forti. Non a caso faceva la migliore sfoglia del Lazio. Poi lo guidò verso il
divano in salotto. “Su, raccontami tutto. Voglio scrivere una lunga lettera a
Marcello, morirà di invidia.” Marcello era suo fratello, uno dei tanti
emigranti italiani del dopoguerra che aveva trovato a New York la sua nuova
casa. Si era tenuto sempre in contatto con Elena, e non la finiva di vantarsi
di essere stato l’unico in famiglia a mostrare un po’ di buon senso nel
lasciare il paese. Era diventato imprenditore edile, e la crisi lo aveva
colpito come tanti nella sua posizione, mentre lo ‘scapestrato nipote’, come lo
chiamava, si preparava a seguire le sue orme, e senza sborsare un centesimo.
Per favorire al massimo l’integrazione e la ricollocazione dei mannari, Thran
aveva predisposto una fondazione che copriva ogni spesa relativa al trasloco e
all’istruzione, incluso il mantenimento, fino a quando Lykopolis non fosse
diventata commercialmente autonoma.
“Non c’è molto altro, da dire.
Studierò quello che mi hanno dato su…sui miei simili, poi farò le valige. Tutto
qua. Spero solo di riuscire a parlare con Gabriele, prima.” Ripeté i propri
timori a sua ‘madre’. “Avantasia ha ragione: mi odierei se partissi senza
salutarlo. Ho già fatto male a dare per scontate le vostre reazioni, e non
posso fare lo stesso con lui. E’ come un fratello, per me.”
Elena andò in cucina. “Allora
telefonagli. Io ti faccio un caffè, ne hai bisogno. Tu vatti a cambiare, un
abito così è meglio tenerlo per le occasioni migliori. Li hai ringraziati per
il regalo?”
“Sì, e sì. Vado.” Salì le
scale. Troppe emozioni in due giorni, altro che caffè! Aveva bisogno di dormire
almeno un giorno di fila. Aprì la porta della sua camera.
Il traffico in strada subì un
brusco arresto nel momento in cui il condominio perse tutto il suo ultimo piano
in un’esplosione! Calcinacci, vetro e frammenti lignei infuocati caddero come
una pioggia letale. Molte macchine furono colpite. Un passante fu ucciso da un
colpo alla testa. Il panico si diffuse rapidamente. Molti cominciarono a
fuggire dai palazzi, aggiungendo confusione.
Poi, per un attimo, tutti si
fermarono nell’udire il suono come di immensi passi che facevano tremare il suolo. Passi che si avvicinavano!
La gente riprese a correre
urlando, mentre attraverso il fumo si stagliava la figura di un enorme robot. Un mostro dalla corazza bianca e
azzurra fin troppo familiare alle cronache recenti: un Guardiano.
La macchina analizzò le rovine
dell’appartamento dei Doria con occhi come piccoli soli. “Unità biologica
mutante Romeo Doria-Pamphili localizzata. Primo attacco inefficace. Si
richiedono ulteriori misure.”
Romeo, nella sua forma lupina,
se ne stava appeso ad una trave, a penzolare nel vuoto. Non sapeva neppure come
poteva essere ancora tutto intero, aveva ustioni su mezzo corpo, e si sentiva
le costole come grissini spezzati. Per come stava, non sarebbe certo riuscito
ad impedire a quel mostro meccanico di colpirlo…
Solo un pensiero lo teneva
ancora in vita.
Sua nonna.
Era là dentro. Era ferita,
forse… “No.”
Il Guardiano sollevò la mano,
mostrando il fuoco che brillava nel palmo.
Forse lei era morta? “No!”
Fuoco!
Romeo saltò via un attimo
prima che la trave venisse incenerita. Il colpo raggiunse la strada, dove
un’auto abbandonata si trasformò in una palla di fuoco.
Incurante del Guardiano, il
licantropo si precipitò in quello che restava della cucina… Ma quel locale non
c’era più. L’intera ala era stata sventrata, non era rimasto niente.
Di vivo.
“Terminazione
unità biologica mutante: imminente.”
“Zitto! Staizittofiigliodiputtanataci!” Accompagnando quelle parole con uno
spaventoso ruggito che riempì l’aria, Warwolf si gettò contro il Guardiano.
Corse con la velocità del fulmine, corse come non aveva mai fatto. Il suo corpo
fu avvolto da fiamme dorate. Le sue ferite guarirono a vista d’occhio. Ancora
una volta evitò l’attacco di energia che distrusse quanto rimaneva della sua
casa e del piano inferiore. Non gli importava, non gli importava di niente, salvo fare pagare a quella cosa
il suo crimine!
Saltò. I suoi artigli
affondarono nel metallo e con essi si mise a correre lungo il torace del
Guardiano come se la gravità fosse scomparsa. Le fiamme dorate intorno al suo
corpo assunsero sempre più consistenza. E quando giunse al suo obiettivo, la
gola del robot, levò gli artigli e colpì.
Le fiamme obbedirono alla sua
volontà. Divennero una mostruosa testa di lupo, ed essa affondò le zanne nel
metallo, squarciandolo e sollevando una cascata di scintille e componenti
elettroniche. Il Guardiano urlò la sua agonia artificiale. “Errore! Errore!
Livello minaccia eccede parametri registrati! Contromisure attive!” Una barriera elettromagnetica ricoprì lo scafo della
macchina. Warwolf ne fu investito, e dolorosamente respinto. Ricadde
nell’appartamento in fiamme, in un mucchio di travi ardenti.
Il Guardiano sembrava
decisamente seccato, se un simile sentimento si fosse potuto applicare ad una
macchina. “Sistemi
di arma reimpostati. Neutralizzazione in corso.”
Romeo osservò la mano puntare
verso di lui. Non era rimasto ferito da quella caduta, ma si sentiva così
esausto. Non sapeva come avesse fatto a colpire a quel modo quel mostro, ma
almeno sarebbe morto con una bella medaglia. Non si era arreso, quindi
‘fanzucco stupido robot! Il nonno almeno se la sarebbe cavata… Mi dispiace tanto, nonna.
Il Guardiano fece fuoco. Il
mondo di Romeo divenne un unico fuoco abbagliante. Chiuse istintivamente gli
occhi.
L’energia crepitò intorno a
lui, consumò quanto restava dell’appartamento…
E quando il licantropo riaprì
gli occhi, scoprì come mai fosse ancora vivo.
In piedi davanti a lui, si
stagliava la figura di un licantropo. Il pelo di un grigio sfumato nell’azzurro
e bianco, una folta criniera, vestito solo di un paio di pantaloni blu con una
fascia gialla e un paio di nunchaku fissati al fianco. E, soprattutto, se ne
stava lì, le mani dagli artigli d’oro protese a parare l’attacco del Guardiano!
Il robot abbassò la mano. “Entità biologica
sconosciuta. Analisi in corso.”
Fiamme azzurre avvolsero il
corpo di questo nuovo mannaro. “Analizzami questo,
allora!” ruggì, e saltò! Schizzò con la velocità di un missile, trasformandosi
in una cometa vivente.
Superò la barriera e sfondò la testa del Guardiano! Romeo
osservò sbalordito la creatura continuare il suo volo fiammeggiante, portandosi
sulla verticale dell’immenso corpo metallico… E calare giù come la furia divina
stessa. Il suo ululato di trionfo riempì l’aria mentre come trapassava il suo
bersaglio come una spada di luce. Finalmente, il Guardiano cadde in due pezzi
sul viale.
“Porca…” Romeo si sporse ad
osservare quanto rimaneva del robot, dimentico delle precarie condizioni
strutturali della sua ex-casa. Se ne ricordò quando sentì il pavimento cedere
sotto i suoi piedi! Imprecò proprio nel momento in cui una forza invisibile lo
afferrò, sollevandolo gentilmente in aria per poi farlo scendere fino in
strada.
“Tutto bene, cucciolo?” chiese
il mannaro azzurro.
Romeo si voltò ad osservare le
rovine del palazzo. Era vivo, aveva fatto il suo miracolo del giorno, aveva
assistito ad un prodigio… E sua nonna era ancora morta in quell’inferno…
“Romeo?”
Le orecchie quasi gli si
staccarono nel piegarsi verso la voce di lei. Adesso sentiva anche i fantasmi?!
Ma lei era lì, in mezzo alla
strada, impolverata dalla cenere dell’incendio, i capelli scompigliati, ma viva
e vegeta, fra le braccia di nonno Ettore!
Romeo corse ad abbracciarli
entrambi, sollevandoli come due bambole. “State bene, state bene, state bene,
signore Iddio state bene…”
“Staremo meglio se non ci
schiacci queste vecchie ossa,” scherzò Elena ricambiando l’abbraccio per quanto
poteva contro il collo del nipote.
“Non ‘Dio’, devi ringraziare,
piccolo,” disse una nuova voce severa e profonda. Romeo si voltò a guardare un
robusto lupo rossiccio come lui, vestito da un’armatura integrale smeraldina e
un ampio mantello scarlatto. “Io sono Karnivor
del Power Pack.”
“E io,” fece il mannaro
azzurro tendendo la mano, “sono Jon
Talbain, Sidar-Var del Popolo e membro del Power Pack. Perdonaci per non
avere saputo salvare la tua abitazione, ma almeno i tuoi consanguinei sono al
sicuro.”
Romeo osservò la gente intorno
a loro. Non c’era un cellulare o macchina fotografica che non stessero
riprendendo loro e i resti del robot. Si tenevano tutti a debita distanza, il
timore ben visibile negli occhi, ma almeno non volarono le pietre.
Romeo ricambiò la stretta di
Talbain. “Io… Eravate in tivù in quel servizio, vero? Siete i…Vendicatori della
nostra gente o roba simile, giusto?”
“Puoi metterla così,” sbuffò
Karnivor. “Ora però dobbiamo trovare un altro posto dove discutere. Abbiamo
molto di cui parlare, cucciolo.”
“Farò tutto quello che
volete.” Ancora un po’, e si sarebbe messo in ginocchio a baciar loro i piedi.
“Dopo quello che avete fatto, vi sarò debitore a vita.”
Un
bagliore di teletrasporto avvolse i tre mannari e i due umani.
Riapparvero nell’infermeria
dell’Ambasciata. Subito il personale medico si prese cura dei coniugi Doria.
“Ce ne occupiamo noi,
figliolo,” disse il medico, respingendo con un mano il giovane mannaro. “Ora
sono sotto le migliori cure che la scienza medica possa loro offrire.”
“Nonno…”
Ettore indicò con la testa
l’uscita. Sua moglie, finalmente cedendo allo stress, aveva perso conoscenza e
la stavano deponendo su un letto, già preparando il carrello. “Figlio, lo hai
sentito il medico. Voi avete fatto la vostra parte, lascia in pace i medici.”
La stanza divenne un vespaio
di attività. Romeo quasi si fece trascinare a forza dai due mannari. Se non
fosse stato per l’ordine perentorio di suo ‘padre’, avrebbe fatto a pezzi
l’edificio pur di restare con Elena.
“E’ stata quella…puttana!”
ringhiò Romeo appena furono tutti fuori. Le sue zanne erano snudate in
un’espressione bramosa di sangue. “E’ stata lei a denunciarmi alla Fazione
Umanità, e guarda cosa è successo! Ma giuro che la ucciderò, le squarcerò il cuore con le mie mani! Come ha potuto
farmi questo?!”
“Rimanda i piani di vendetta,”
disse Talbain. “Per ora, importa più pianificare il futuro tuo e dei tuoi
parenti.”
Il solo menzionarli sembrò
calmarlo…in un certo senso. Romeo si accasciò sulla sedia più vicina. “Dio, è
vero. Io… Io non posso lasciarli, non ora.” Sollevò due occhi disperati sui
suoi salvatori. Aveva l’aria di un cucciolo bastonato. “E’ anche colpa mia se
sono in pericolo, si rifaranno su di loro per colpire me, loro—“
“Non faranno un bel niente, o
se ne pentiranno amaramente,” disse Avantasia, nella sua forma licantropica.
Squadrò Romeo severamente. “I nostri nemici, ora, contano su questa tua
reazione, e su quella di tutti coloro che nella tua posizione si trovano. E’
per questo che il governo dello Zilnawa e Lykopolis hanno preso delle misure,
in merito. Ora seguirmi nel mio ufficio, ne parleremo più dettagliatamente.”
Nella stanza c’erano ad
attenderli due mannari di colore grigio, dalla schiena rossa. Stavano in
ginocchio fra i cuscini.
Avantasia fece cenno a Romeo
di sdraiarsi fra di loro. “Niente obiezioni. Scoprirai che il contatto fisico è
di grande aiuto per lo stress.”
Lui obbedì, anche perché ormai
si sentiva sul punto di crollare del tutto, non aveva proprio la forza per
obiettare alcunché. Si sdraiò fra il maschio e la femmina in attesa, si mise
comodo e subito loro cominciarono a massaggiarlo, frizionandogli il pelo con
una specie di polvere profumata. Quella, e il massaggio, lo aiutarono
effettivamente a dissipare un po’ la tensione. Avantasia si sedette di fronte a
lui. Talbain e Karnivor, come due sentinelle, rimasero in piedi dov’erano.
“Andrò subito al punto,
cucciolo: Thran ha predisposto un programma di protezione per i parenti e gli
amici dei residenti di Lykopolis. La reazione di organizzazioni come Fazione
Umanità era prevista, anche se a nostra colpa devo ammettere che i loro tempi
di risposta sono stati molto, troppo rapidi. Due droni LMD da combattimento
della Talon Weaponry Division sarebbero stati messi a disposizione entro
ventiquattro ore per assicurarsi la protezione dei tuoi nonni. In alternativa,
se lo desideri, puoi chiedere che i tuoi familiari vengano trasferiti a vivere
con te a Lykopolis, saranno accolti a braccia aperte. Ma devo chiederti di non rivedere la tua decisione di
emigrare. I nostri ed i tuoi nemici prosperano sul nostro isolamento, e questo
ci tiene sempre sull’orlo dell’estinzione.”
Romeo
si vergognò di quello che disse, ma al diavolo non intendeva nascondere le sue
priorità! “Se loro non vengono con me, io non vado da nessuna parte. Non so
come ho fatto a fare quel trucco con il Guardiano, ma farò il possibile per
ripeterlo ogni volta che qualcuno minaccia la mia famiglia. E niente al mondo potrà convincermi diversamente, mi
dispiace, anche se vi devo la via mia e dei miei genitori.”
Erano le due di notte, e,
tornato alla forma umana, Romeo stava seduto al capezzale di Elena, tenendole
la mano. Aveva dormito giusto un paio d’ore, il cuore era un tamburo impazzito,
ma rifiutava di cedere all’esaurimento. In compenso, i suoi pensieri erano un
turbinio impazzito. Un momento pensava di chiedere spiegazioni a Patrizia,
magari di perdonarla. Un altro si vedeva a sbranarla un pezzo alla volta,
godendo delle sue urla… E quei due film correvano e ricorrevano nella sua mente
come un terribile sogno lucido…
“Qualcuno qui ha bisogno di un
amico, si direbbe.”
Il ragazzo sollevò lo sguardo.
Per un momento, pensò ad una visione, un altro fantasma delle sue paranoie.
“Gabriele?”
Gabriele De Santis era lì, in
piedi davanti all’altro lato del letto, nella sua immancabile maglietta rossa e
pantaloni a costa blu. “Vieni, bietolone,” disse a bassa voce. “Parliamo fuori
da questo mortorio.”
Una volta fuori, i due amici
d’infanzia si abbracciarono forte. Romeo era insieme felice, curioso, e apprensivo.
“Quando…sei arrivato?”
“Tre ore fa. Qui fanno orario
continuato, pare, ‘sti stakanovisti. Ti ho cercato in lungo e in largo in tutti
gli ospedali della capitale dopo avere visto il TG. Solo alla fine mi è venuto
in mente di associare i licantropi ripresi nel servizio a quella roba su
Lykopolis. Ho contattato l’Ambasciata ed eccomi qua. Dopo essere stato passato
al setaccio, una specie di amazzone dal nome strano...”
“Avantasia.”
“Lei. Insomma, abbiamo avuto
un colloquio molto approfondito. Mi ha detto su di te delle cose che…wow,
insomma, se lo avessi saputo prima di quel servizio, avrei chiuso gli occhi
forte forte e avrei detto nonèeverononèverononèvero!
fino a diventare tutto rosso.” Ridacchiò. “Immagino che il mondo sia un po’
cambiato, però. E Luigi de Santis non ha allevato suo figlio perché chiudesse
gli occhi al mondo.” Gli afferrò la spalla. “Mi dispiace davvero per tutto
questo casino, Romeo. I medici dicono che si riprenderà perfettamente.”
“Finché dura, immagino.”
Gabriele sospirò. “Romeo,
Romeo, perché sei tu scemo, Romeo?”
“Uh..?”
“Fammi un favore, vuoi?”
quando l’amico annuì, disse solo, “Cambia.”
“Come?”
“Cambia, trasformati. Voglio
vedere come sei fatto. Non è giusto che tutti lo sappiano tranne me, lo sai?”
Romeo annuì debolmente. Un
momento dopo, il lupo prese il posto dell’umano. “Contento, adesso?”
“ Be’, wow. Almeno ora so che
se molli tutto, farai una fortuna con i tartufi.”
*snicker*
“No, davvero: l’Antidroga ti
darà una pensione d’oro e un vitalizio di Pal.”
*scrmff* “Smettila,
maledizione…”
“Ho sentito dire che il canale
Fantasy sta dando audizioni. Il commissario Romeo pronto per l’azione. Le fan
scatenate!”
“Ho detto*mfahahahahah!*”
Romeo si appoggiò alla spalla dell’amico, e liberò d’un colpo tutta la tensione
in quella lunga risata inumana, fino a quando non la esaurì in una serie di
singulti e colpi di tosse. Riprese fiato e si asciugò il muso dalle lacrime.
“Credo che ne avessi bisogno, hai ragione.”
“Ce l’ho sempre, bestione.
Mmm, collo morbido.”
“Piano con quelle mani.
Piuttosto, perché mi hai dato dello scemo?”
Con un sorriso bonario,
Gabriele disse, “Perché ti comporti da scemo. Adesso sei sconvolto, lo capisco.
Cavolo, lo sono anch’io. Ma credo anche di essere la voce della ragione in
questo momento: e la ragione ti dice che non dovresti usare questo casino come
scusa per marcire in questo paese.”
“Scusa?”
“Te l’ho detto che quella
Avantasia mi ha detto tutto. Insomma, per la prima volta nella tua vita ti
decidi a fare la cosa giusta, ed ora sei pronto a mollare tutto?”
“Come puoi parlare così?! Loro
sono praticamente i miei genitori,
non posso abbandonarli...”
“E chi ha parlato di
abbandonarli?”
“Ma...”
“Rifletti un momento, va bene? Non costringermi ad alzare la voce,
mister.” Gli picchiettò il tartufo con l’indice. “Ti conosco come un fratello,
lo sai. E so che non saresti venuto
qui ad iniziare la pratica di emigrazione senza la benedizione dei tuoi nonni.
O se anche ci avessi provato, avresti dato buca se loro avessero fatto anche
solo finta di chiederti di restare. Tu vuoi loro un mondo di bene, lo capisco
benissimo. Ma intendi davvero ridurti a fare il bamboccione per i prossimi
dieci anni e passa?”
“No, ma--“
“Niente ‘ma’! Pensi che
saranno felici di sapere che per
colpa loro l’unico figlioccio che
abbiano mai avuto resterà chiuso fra le mura di casa loro, con la prospettiva
di finire in un call-center? Pensi che ti abbiano tirato su per questo? Perché finirà così: anche se ti smazzolerai
fino alla morte all’università, le possibilità di trovare un lavoro saranno
minime e magari, per colmo di rogna, il posto migliore che potrai avere sarà
comunque fuori dall’Italia. Se so qualcosa: ho due fratelli che adesso parlano
rispettivamente francese e tedesco. E quando finalmente madre natura si
deciderà a fermare il loro orologio, scoprirai non solo che alla fine non li
avrai potuti proteggere oltre gli umani limiti, ma che ti ritroverai, ripeto,
in un mare di quella robaccia puzzolente. Fin sopra i capelli. E se a quel
punto ti sarai deciso ad emigrare a Lykopolis, troverai posto come spazzino al
minimo sindacale. Ecco, e se ora vuoi, mordimi pure!” aveva fatto quella tirata
d’un fiato, e ora ansimava, ma non abbassò lo sguardo.
E Romeo, in quegli occhi vide
la rabbia che solo una persona seriamente preoccupata poteva provare. “Io... Io
non voglio che soffrano.”
“Credi che lo voglia, io? Ma
se resti qui, passerai il resto delle loro vite a rimpiangerlo. Lo sai che
giorno era, ieri?”
“Uh, no. Cosa?”
“Il tuo diciottesimo compleanno,
bestione. Sei ufficialmente un uomo. E dovresti prendere una decisione da
adulto.”
Era stato il suo compleanno?
Non se n’era proprio ricordato. “Vorrei che venissero con me.”
“Chiediglielo, allora. Pensi
ancora che siano due vecchi rimbambiti pronti a spaventarsi di fronte ad ogni
novità? Insomma,” con ammirazione, squadrò Romeo dalla testa ai piedi, “hanno
‘sto popò di nipote e sono ancora tutti interi. Male che vada, ti prenderanno a
calci sotto la coda fino a quando non sarai salito sul primo aereo per
Lykopolis.”
“Heh. A volte sembra che tu li
conosca meglio di me.”
“Anche tu sai che è vero. E’
che non ti fidi. E’ ora di cambiare, bello. Hai la fortuna di poterlo fare, lo
sa Dio che vorrei essere al tuo posto. Quindi dacci dentro e fai i bagagli,
bestione; o ti depenno dalla mia lista delle amicizie.” Aveva gli occhi lucidi,
Gabriele. “Però devi prometterti di farti sentire almeno una volta alla
settimana.”
“Dovrai mettere il mio nome
nel filtro antispam... Però, una cosa puoi dirmela?”
“Of course.”
“Avantasia. Ti ha chiesto di
intercedere per lei?”
Gabriele annuì. “Lo ha fatto.
Diamine, ci tiene davvero, a te. E francamente, ad una simile bomba non direi
mai di no!”
“Ha trecento anni.”
“Tutta esperienza. Ad ogni
modo, non sono qui per parlare per conto suo, ma perché, ripeto, è il tuo
futuro. Lo meriti. Non permetterò che lo sciupi. E neanche loro. Posso
accarezzarti di nuovo il collo?”
E
di nuovo Romeo scoppiò a ridere.
Aeroporto Roma-Fiumicino
“Leonardo Da Vinci”. Sette giorni dopo
“Il volo ZAL-717 per Lykopolis
ED è in partenza all’imbarco 10. I passeggeri sono pregati di presentarsi a
bordo.”
Romeo contemplò il futuristico
velivolo che lo avrebbe portato presso una nuova vita. “Sembra più un’astronave
che un aereo.” L’apparecchio in questione era una freccia bianca, verde e
azzurra, dalle ali triangolari ed un pulsoreattore piazzato sulla coda.
Sembrava un Concorde agli steroidi,
grosso come l’Airbus, ma molto meno goffo.
“Non vedo l’ora di farci un viaggetto,”
disse Ettore, dando una pacca alla spalla del nipote. “Sono fiero di te.”
Romeo si voltò ad
abbracciarlo, poi fece lo stesso con Elena. Ad Avantasia rivolse un breve
inchino –chiamatelo istinto, se volete, ma quella femmina irradiava autorità. “La
ringrazio di tutto.” E ne aveva, da ringraziare: i nonni erano stati messi
sotto il programma di protezione. Era stata loro data una casa nuova a Viale
dei Parioli, quella che la nonna aveva sognato con sospiri da star del vecchio
cinema fin da ragazza. Il loro conto in banca era stato ben rimpolpato. Doveva
ammetterlo: era stato un buon affare per tutti.
“Siamo noi che ringraziamo te,
figlio di Gaia,” rispose Avantasia con quel suo sorriso da sfinge. C’era stata un’altra richiesta da parte sua, e
dopo un po’ delle sue titubanze, il giovane licantropo aveva accettato, a patto
che non interferisse con i suoi studi.
L’unico affare rimasto in
sospeso era Patrizia. Da quel giorno maledetto, era semplicemente scomparsa. Se
i suoi amici in FU erano furbi, l’avevano nascosta a loro volta chissà dove...
Il che andava benissimo, fino a quando si fosse tenuta lontana dai nonni. E
Gabriele non era uno sprovveduto, avrebbe saputo badare a sé stesso.
Fischiettando ‘Chissà se va’,
Romeo Doria-Pamphili si diresse all’aereo. Ora era lui, il padrone del suo
futuro, e guai a chi gli si fosse parato davanti!
E magari un giorno l’Uomo
Ragno gli avrebbe chiesto un autografo, sissignore!